Come si sa, nella Siria occidentale, al confine con la Turchia, si sta combattendo una lotta feroce che vede contrapposti da un lato il popolo kurdo della regione del Rojava, e dall’altra i fanatici integralisti islamici dell’ormai famigerato Isis.
L’informazione mainstream parla di questi fatti solo come di un tentativo dell’Isis di allargare la sua area di influenza, all’interno delle solite logiche di potere e sopraffazione e dell’eroica resistenza dei combattenti kurdi.
Ciò che, invece, in gran parte si ignora, è quali siano le particolari caratteristiche della comunità kurda che viene attaccata con tanto furore dagli integralisti.
Il Rojava, infatti, e quindi anche la città di Kobane, non sono semplicemente una enclave kurda all’interno di Siria, Turchia e Irak, ma rappresentano un esperimento sociale che sta cambiando il panorama del medio oriente. E non a caso viene attaccato dall’Isis e abbandonato al suo destino dalla vicina Turchia e, sostanzialmente, dalle potenze occidentali.
Nel Rojava si sta sperimentando, costruendo, praticando il comunalismo libertario, si sta organizzando la società su basi antiautoritarie, paritarie, di solidarietà aconfessionale, di affermazione della parità e, soprattutto, della dignità delle donne E scusate se è poco.
Quello che era un partito marxista leninista, il famoso PKK capeggiato da “Apo” Ocalan, si è trasformato, alla luce dei profondi cambiamenti sociali dell’intera area, in una struttura su base libertaria e federalista, che prevede la sostituzione graduale dello Stato nazione con una rete di realtà autogestite, connesse tra loro su un piano di assoluta parità.
Una delle realizzazioni più importanti che caratterizzano questo fantastico progetto comunitario è il ribaltamento del ruolo femminile in tutti gli aspetti della vita sociale: non più paternalismo, non più divisione di ruoli, non più infibulazione e sottomissione, non più subalternità, ma anzi, piena affermazione della dignità e dell’importanza della donna per un corretto funzionamento della società. E, di pari passo, riconoscimento della assurdità della divisione della popolazione su basi etniche e, soprattutto, religiose. In questa enclave, cristiani, siriaci, sunniti, sciiti, yazidi, ebrei, e chi più ne ha più ne metta, convivono nella più articolata parità di opportunità e diritti.
Si chiama “Autonomia democratica”, questo sistema di auto-amministrazione fondato sul decentramento e la federazione dei nuclei decisionali locali, assemblee aperte a tutti gli abitanti, uomini e donne, di ogni appartenenza etnica, religiosa e nazionale.
Tutto oro quel che riluce? No, non siamo così ingenuamente entusiasti. Sicuramente alcune contraddizioni, generate anche da secolari sopravvivenze, sono ancora presenti, ma quello che si può vedere, senza dubbi, è la comune volontà di superare ogni difficoltà per realizzare appieno il comunalismo libertario.
La strada è lunga e l’Isis, come la Turchia e gli altri “amici”, sono sempre lì pronti a cancellare questo progetto, che però, grazie alla resistenza delle donne e degli uomini kurdi, continua a camminare.
Massimo Ortalli, Cristina Valenti
L’immagine di questa spigolatura
Un gruppo di donne dell’Academie Zeynep-Kinaci. Presso l’Accademia delle donne di Zeynep-Kinaci a Hevala Çiçek, in Kurdistan, le militanti del movimento delle donne lavorano alla propria educazione politica e culturale. La vita collettiva che si conduce in questa e in altre scuole analoghe è basata sull’apprendimento reciproco e in comune. Qui le donne sono studentesse e docenti al tempo stesso.