“Crudelissima battaglia fu quella di Ravenna, più crudele che fusse mai dopo la rotta di Canne. Quello giorno che fu il giorno di Pasqua de la resurrectione, se Spagna pianse, Franza non rise” ( Cit. Antonio Grunello; in Sergio Spada, La battaglia di Ravenna. ed Ponte Vecchio 2011)
Il giorno 11 aprile 1512, domenica di Pasqua, si svolse nei pressi di Ravenna una battaglia, uno dei massacri più terribili della storia medioevale e moderna. L’esercito francese affrontò e batté sul campo la cosiddetta Lega Santa, formata da spagnoli e napoletani. Restarono a terra circa ventimila fanti e cavalieri spagnoli, napoletani, tedeschi, veneziani, ferraresi, francesi, fra i quali il valoroso duca Gastone di Foix.
La storia racconta che questo fu uno dei conflitti più cruenti di tutti i tempi poiché rappresentò una sorta di spartiacque del mondo moderno, segnata anche dall’avvento dell’artiglieria pesante.
Al termine dello scontro la città visse la strage e le violenze del sacco e ne restò devastata.
Alla battaglia pare abbiano partecipato anche personaggi come: il Baiardo, il de La Palisse e Ludovico Ariosto.
A ricordo, sull’argine sinistro del fiume Ronco, in zona Madonna dell’Albero (raggiungibile dal centro storico di Ravenna, percorrendo la via Ravegnana), vi è una stele di marmo circondata da alti cipressi: La Colonna dei Francesi, che venne scolpita ed eretta nel 1557 dal cardinale Pier Donato Cesi arcivescovo di Narni.
Gaston de Foix-Nemours (Mazères, 10 dicembre 1489 – Ravenna, 11 aprile 1512) fu duca di Nemours, conte di Étampes e visconte di Narbona. Per le sue vittorie nella fulminea campagna che lo vide generale fu soprannominato “Folgore d’Italia”. Giovanissimo divenne comandante generale dell’esercito di Luigi XII in Italia. Morì trafitto da una picca nella vittoriosa battaglia di Ravenna a soli 22 anni.
“…e se, come si crede, è desiderabile il morire a chi è nel colmo della maggiore prosperità, morte certo felicissima, morendo acquistata già sì gloriosa vittoria. Morì di età molto giovane, e con fama singolare per tutto il mondo, avendo in manco tre mesi, e prima quasi capitano che soldato, con incredibile celerità e ferocia ottenuto tante vittorie” (Francesco Guicciardini, Storia d’Italia.)
Il saccheggio di Ravenna. La battaglia di Ravenna e, ancora di più, il susseguente feroce saccheggio della città da parte delle truppe francesi vittoriose hanno lasciato nell’immaginazione popolare e nella memoria storica dei ravennati un lungo strascico che non era ancora esaurito nell’ultimo dopoguerra. Naturalmente, come succede in questi casi, tali ricordi si concentravano su episodi di interesse soprattutto locale, quali certe vicende del suddetto saccheggio o della difesa della città nei giorni precedenti alla battaglia, o la forte impressione lasciata dai cumuli di morti rimasti sul campo.
“Alla notizia della vittoria francese la città di Ravenna si vide spoglia di ogni difesa e decise di trattare la resa, nonostante gli ammonimenti di Marcantonio Colonna. I primi ad entrare nella città furono i guasconi che vi penetrarono con la scusa di dover far acquisti per il campo. I ravennati rassicurati dall’accordo non si opposero. Nel giro di qualche ora entrava in Ravenna una fiumana di fanti e cavalieri, ancora accaldati e nervosi per la battaglia, urlante i nomi di Gaston de Foix e Yves d’Alegre. La città fu saccheggiata, come era stato promesso dal Foix prima dello scontro. I battaglioni sciamarono inarrestabili per le vie cittadine poiché gran parte dei loro capitani era morta e non c’era nessuno che ne tenesse a freno l’ingordigia. Furono depredate le chiese e le basiliche, rubati gli argenti, gli ori, e i paramenti sacri; gli abati e i monaci furono passati a fil di lama, le monache violentate; le case e le botteghe distrutte, alla fine si contarono più di duemila morti. Di quanto accadde da una chiara descrizione Sebastiano Menzocchi nelle sue Cronache: “…l’esercito francese e il marchese di Ferrara dette l’assalto et batteria a Ravenna et la prese, entrano dentro ed mese tutta la terra a sacho, ammazzando gente asai peggio dei Turchi tolsero le mogli a loro mariti, et le figlie a padri et alle dolenti et afflitte madri, che, peggio che più nanzi non esplicare, le suddette mogli et figlie eran condutte in presenza et vista delli mariti et padri a svergognarle et violarle, ligando li mariti spogliava nude le innocente et infelice donne operando in loro ogni disonestà et scelleratezza, poi eseguiti gli effetti inhumani et bestiali, ammazzavano lì mariti et le donne svergognate le menavano di poi al campo, quando non havean facultà né denari da pagare le taglie, et anche rescosse le trattava come prima senza avere rispetto né a Dio né ai Santi. “(Cit. Sebastiano Menzocchi, Cronache; in Sergio Spada, La battaglia di Ravenna. ed Ponte Vecchio 2011)
Lettera del Comitato Ave Ravenna a Ravenna&Dintorni del 22/03/2015
“Una passeggiata a Gambellara e si giunge alle Larghe di Saiano. Perché questo nome? Fortunatamente, nel forese, i toponimi restano. Non vi è quello zelo attuale che si impegna a far scomparire la tracce di ciò che la storia lascia sul territorio, capoluogo compreso.
Chi era Saiano? Era il Capitano responsabile dell’accampamento delle Milizie francesi di Gastone de Foix. Un contadino racconta di quando, facendo le buche per piantare i peschi, affiorarono numerosissime ossa umane e di cosa, interpellata la Soprintendente archeologica, davanti a loro affermò che gli scheletri allineati e sovrapposti a strati appartenevano ad una fossa comune. I teschi di questa fossa non avendo ancora i denti del giudizio discesi dimostravano la giovane età degli inumati.
La Soprintendente asserì inoltre che era certamente una delle fosse comuni della Battaglia di Ravenna del 1512. Consigliò poi che gli scheletri, rinvenuti completamente spogli da qualsiasi arma od ornamento, fossero riseppelliti ad una profondità maggiore.
All’epoca i terreni nei quali venivano sepolti dei cadaveri erano contrassegnati con croci in legno e successivamente furono erette delle cellette in muratura con, all’interno, un’immagine sacra. L’immagine della Madonna posta dentro la celletta a memoria degli inumati é stata datata coeva al periodo della battaglia ed asportata cautelativamente dai proprietari del campo.
Le truppe di Gastone de Foix erano accampate nelle larghe a est di Gambellara e qui furono attaccate. Le tracce dei caduti in battaglia sono in queste fosse, perché i cadaveri dei defunti non si portano a spasso per tutto il forese ma si seppelliscono nella zona dove cadono.
Poco distante dal primo rinvenimento la memoria di un altro contadino, il racconto tramandato di un nonno ed ecco un’altra fossa comune. Le memorie di un sacerdote sollevano l’ultimo velo.
Gli anziani raccontano di aver udito dai loro vecchi… che nell’incrocio tra la via Viazza e il Fosso Ghiaia esistesse un’altura su cui era stata costruita la chiesa di S. Giorgio. Al centro di questo dosso vi era la colonna eretta a memoria di Gaston de Foix e dei militi caduti in battaglia, colonna che dalla propria altura copriva a memoria tutte le fosse intorno. Per salvaguardia, venne trasferita sull’argine del fiume, all’altezza di Madonna dell’Albero, dove tutt’oggi la possiamo osservare.”