L’11  febbraio ricorre  l’anniversario della morte  per suicidio di due poetesse  Sylvia Plath (1963) e Amelia Rosselli (1996). La Rosselli  amò e tradusse la Plath e su di lei scrisse diverse pagine critiche. La data del suicidio scelta della Rosselli è probabilmente un volontario omaggio alla Plath.

Sylvia Plath1

Sylvia Plath (Boston, 27 ottobre 1932 – Londra, 11 febbraio 1963) è stata una poetessa e scrittrice statunitense.
Conosciuta principalmente per le sue poesie, ha anche scritto il romanzo semi-autobiografico La campana di vetro (The Bell Jar) sotto lo pseudonimo di Victoria Lucas. La protagonista del libro, Esther Greenwood, è una brillante studentessa dello Smith College, che inizia a soffrire di psicosi durante un tirocinio presso un giornale di moda newyorkese. La trama ha un parallelo nella vita della Plath, che ha trascorso un periodo presso la rivista femminile Mademoiselle, successivamente al quale, in preda a un forte stato di depressione, ha tentato il suicidio.
Autrice anche di vari racconti e di un unico dramma teatrale a tre voci, per lunghi periodi della sua vita ha tenuto un diario, di cui sono state pubblicate le numerose parti sopravvissute. Parti del diario sono invece state distrutte dall’ex-marito, il poeta laureato inglese Ted Hughes, da cui ebbe due figli, Frieda Rebecca e Nicholas. Morì suicida all’età di trent’anni (era passato solo un mese dalla pubblicazione del suo romanzo) : sigillò porte e finestre ed inserì la testa nel forno a gas, non prima di aver scritto l’ultima poesia intitolata “Orlo” ed aver preparato pane e burro e due tazze di latte da lasciare sul comodino nella camera dei bambini.
Nel 1982, Sylvia Plath divenne la prima poetessa che vinse il Premio Pulitzer dopo la propria morte (per The Collected Poems).

Io sono verticale
Ma preferirei essere orizzontale.
Non sono un albero con radici nel suolo
succhiante minerali e amore materno
così da poter brillare di foglie a ogni marzo,
ne’ sono la beltà di un’aiuola
ultradipinta che susciti grida di meraviglia,
senza sapere che presto dovrò  perdere i miei petali.
Confronto a me, un albero e’ immortale
e la cima di un fiore, non alta, ma più clamorosa:
dell’uno la lunga vita, dell’altra mi manca l’audacia.
Stasera, all’infinitesimo lume delle stelle,
alberi e fiori hanno sparso i loro freddi profumi.
Ci passo in mezzo ma nessuno di loro ne fa caso.
A volte io penso che mentre dormo
forse assomiglio a loro nel modo più perfetto –
con i miei pensieri andati in nebbia.
Stare sdraiata è  per me più naturale.
Allora il cielo ed io siamo in aperto colloquio,
e sarò utile il giorno che resto sdraiata per sempre:
finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me.

Orlo
La donna è a perfezione.
Il suo morto
Corpo ha il sorriso del compimento,
un’illusione di greca necessità
scorre lungo i drappeggi della sua toga,
i suoi nudi
piedi sembran dire:
abbiamo tanto camminato, è finita.
Si sono rannicchiati i morti infanti ciascuno
come un bianco serpente a una delle due piccole
tazze del latte, ora vuote.
Lei li ha riavvolti
Dentro il suo corpo come petali
di una rosa richiusa quando il giardino
s’intorpidisce e sanguinano odori
dalle dolci, profonde gole del fiore della notte.
Niente di cui rattristarsi ha la luna
che guarda dal suo cappuccio d’osso.
A certe cose è ormai abituata.
Crepitano, si tendono le sue macchie nere.

 

amelia_rosselli2

Amelia Rosselli (Parigi, 28 marzo 1930 – Roma, 11 febbraio 1996) è stata una poetessa italiana.
Amelia Rosselli è nata a Parigi dal noto esule antifascista Carlo, assassinato nel 1937 insieme al fratello Nello. Pasolini l’ha definita “questa specie di apolide, dalle grandi tradizioni famigliari di Cosmopolis” per la vita errabonda che ha sempre condotto, vivendo in vari paesi esteri con sporadici e più o meno lunghi soggiorni in Italia. Ha compiuto senza regolarità studi letterari, filosofici e musicali. All’attività di musicista, sia come compositrice che come esecutrice, ha affiancato lavori di traduzione, consulenza editoriale e collaborazione a note riviste letterarie. Scrive versi e prose in diverse lingue, prima fra tutte l’inglese; in Italia ha cominciato a pubblicare qualcosa all’inizio degli anni Sessanta, principalmente su riviste, attirandosi l’attenzione e il consenso di noti poeti come Zanzotto, Raboni e Pasolini. La sua poesia, “suggestiva e potente”, si ritaglia un posto assolutamente unico nel panorama letterario italiano; quest’isolamento è acuito dall’atteggiamento di estraneità sempre tenuto dall’autrice nei confronti del mondo intellettuale, il che ha fatto sì che i suoi lavori abbiano ottenuto solo in minima parte i riconoscimenti che a parere di diversi critici meriterebbero. La cosa più singolare e colpisce maggiormente nelle sue poesie, soprattutto quelle raccolte nelle prime pubblicazioni, è il linguaggio, del tutto nuovo e originale. E’ l’autrice stessa a spiegare che “la lingua in cui scrivo volta a volta è una sola, mentre la mia esperienza sonora logica associativa è certamente quella di tutti i popoli e riflettibile in tutte le lingue”. Ne deriva una singolarissima e voluta ignoranza delle regole sintattiche e morfologiche da cui nasce una scrittura-parlato intensamente informale in cui per la prima volta si realizza quella spinta alla riduzione assoluta della lingua della poesia a lingua del privato.
La morte della madre (avvenuta nel 1949) e altre vicende biografiche le causarono ricorrenti esaurimenti nervosi. Non accettò mai la diagnosi di schizofrenia paranoide  che le venne fornita da cliniche svizzere e inglesi, ma parlò per lo più di lesioni connesse al morbo di Parkinson, che le si manifestarono già a 39 anni. È rimasta una figura di scrittrice unica per il suo plurilinguismo e per il tentativo di fondere l’uso della lingua con l’universalismo della musica. Ha vissuto gli ultimi anni della sua vita a Roma dove è morta suicida l’11 febbraio 1996  per cause connesse ad una grave depressione. La data del suicidio segna forse volontariamente un nesso indelebile con quella di  Sylvia Plath, autrice che la Rosselli tradusse ed amò, dedicandole anche diverse pagine critiche

Da: Documento
 I fiori vengono in dono e poi si dilatano
una sorveglianza acuta li silenzia
non stancarsi mai dei doni.
 Il mondo è un dente strappato
non chiedetemi perché
io oggi abbia tanti anni
la pioggia è sterile.
 Puntando ai semi distrutti
eri l’unione appassita che cercavo
rubare il cuore d’un altro per poi servirsene.
 La speranza è un danno forse definitivo
le monete risuonano crude nel marmo
della mano.
 Convincevo il mostro ad appartarsi
nelle stanze pulite d’un albergo immaginario
v’erano nei boschi piccole vipere imbalsamate.
 Mi truccai a prete della poesia
ma ero morta alla vita
le viscere che si perdono
in un tafferuglio
ne muori spazzato via dalla scienza.
 Il mondo è sottile e piano:
pochi elefanti vi girano, ottusi.
 C’è come un dolore nella stanza, ed
è superato in parte: ma vince il peso
degli oggetti, il loro significare
peso e perdita.
 C’è come un rosso nell’albero, ma è
l’arancione della base della lampada
comprata in luoghi che non voglio ricordare
perché anch’essi pesano.
 Come nulla posso sapere della tua fame
precise nel volere
sono le stilizzate fontane
può ben situarsi un rovescio d’un destino
di uomini separati per obliquo rumore.

Da:  Sleep (traduzione di Antonio Porta)
Inferno, tessuto da mani perfette, avvolse
la nostra luce di un fiero brivido di paura nella notte
scambiata per un paio di rubini. Paura
pedicure di Desdemona, era tuttospavento che lui
potesse saltar fuori scattando dall’ultimo bus, ma
eravamo pronti ad ammirare il suo genio creativo
e a non lasciarci disturbare da nulla salvo lo
scampanellante
campanello della porta quando suonò al suo meglio.
Necessariamente il nostro gocciafucile è caduto
ai tempi dell’inferno: ritessuto di nuovo in un
pacchetto
avvolto che contiene tutto il nostro cibo corporale.
Anima
scomposta ci ha guardata da lontano ma nessun
sguardo di angeli
avvolse il suo sguardo indagante d’amore.