Lo sguardo del Grande teatro di Lido Adriano è volto a Oriente. Lo è e lo sarà certamente in questo primo triennio.
L’anno passato abbiamo affrontato sul testo sufi del persiano Farid-Ad-din-Attar Il verbo degli uccelli. Quest’anno abbiamo concentrato l’attenzione sulla più antica raccolta di favole dell’India, il Panchatantra. Il libro si compone di un racconto cornice su cui si innestano settanta favole, che aiutano a veicolare precetti morali ad uso dei figli del re affidati alle cure di un saggio.
E infatti il testo in sanscrito è attribuito dalla tradizione al saggio Vishnu Sharma, un bramino del Kashmir vissuto nel III secolo a.C.
Il testo e le stesse favole si diffusero prima nel sud-est asiatico, poi in Cina, e quindi in Tibet, a Giava, nel Laos e poi su, a nord, fino alla Mongolia. Il passaggio in Occidente avvenne nel 570 d.C. quando l’imperatore sassanide Cosro I lo fece tradurre in Pahlavi. Due secoli dopo, lo scrittore Ibn al-Muqaffa tradusse la versione persiana in arabo, con il titolo Il libro di Kalila e Dimna. Poi nel 1100 venne tradotto dall’arabo al latino e dopo tre secoli arrivò in Germania e quindi in Spagna.
Fu poi tradotto in Italiano e il suo viaggio è continuato in tutto il mondo.
Con noi il Panchatantra approda a Lido Adriano. Tahar Lamri ne ha curato un adattamento che si basa sulla traduzione araba dell’VIII secolo di Ibn al-Muqaffa. Ci siamo concentrati sul primo racconto del libro, Il Leone e il Toro, che nella versione di Ibn-Al-Muqaffa diventa Kalila e Dimna.
“In Asia si trova quanto ci manca e ha per noi un importanza essenziale! Di li ci giungono
interrogativi che giacciono nel profondo del nostro animo.”, scrive Carl Jasper.
Siamo in una foresta, Dimna e Kalila, due sciacalli, due fratelli, discutono animatamente, Dimna ambisce al potere a ogni costo, Kalila si accontenta di quel che ha. Dalla palude arriva una voce potente che impaurisce la corte del re Leone. La voce è quella del toro. Gli sciacalli la conoscono. Dinma, forte di questa conoscenza si presenta a corte. Il re affascinato dalla sua loquacità lo incarica di andare a incontrare il Toro per rendergli noto di chi sia il vero sovrano. Dimna porta quindi il Toro Shanzabà a corte. Il Re ne rimane affascinato e lo nomina suo consigliere speciale. Dimna è furioso e quindi elabora e attua una serie di stratagemmi per mettere in cattiva luce Shanzabà. Quando riesce nel suo intento il Re uccide il toro, ma immediatamente si ravvede e capisce di aver commesso un errore grave, terribile, fatale. La madre del Leone mette il figlio di fronte alle propria responsabilità. Dimna finirà per essere processato per avere ingannato il Re.
E’ la storia di un tentativo di scalata al potere. E’ la storia di due fratelli.
E’ una storia di manipolazione delle informazioni, di di un re che si fa ingannare e finisce per uccidere un innocente. E’ la storia di un toro, uno straniero, che dalla palude lancia il suo richiamo, un canto, un lamento, forse un blues, poi viene ucciso. E’ una storia di diffamazione che si ripete dalla notte dei tempi. E non sempre si chiude con un processo.
Doris Lessing, premio Nobel per la letteratura, nella sua introduzione a un’edizione del Panchatantra, afferma che oggi la maggior parte delle persone in Occidente probabilmente non ne ha mai sentito parlare, e invece sono molto più conosciuti i Veda o le Upanishad. Fino a tempi relativamente recenti succedeva invece il contrario: chiunque avesse una qualche educazione letteraria sapeva che le Favole di Bidpai o i Racconti di Kalila e Dimna – questi sono i titoli più comunemente usati – erano un grande classico orientale, tanto che fino al 1888, ne erano state realizzate almeno venti traduzioni in inglese. Ragionare su questo, ci porta a riflettere sul destino dei libri, tanto incerto e imprevedibile quanto quello delle persone o delle nazioni.
Oggi nel mondo si moltiplicano anatemi e esclusioni, intolleranze e massacri, e il nostro lavoro a Lido Adriano, la nostra perferia multietnica, parte da queste le favole, che come dice Tahar Lamri, sono l’alfabeto dell’umanità, viaggiano senza fermarsi, ci svelano i meccanismi delle nostre anime, sono la testimonianza del fatto che condividiamo cultura e storie.
Non ci chiediamo più quante persone hanno aderito quest’anno al nostro viaggio, sono tanti e tanti di loro erano già con noi lo scorso anno, di tutte le età e nazionalità, romagnoli o con radici in altre regioni, paesi, continenti.
Qualcuno dei giovani inizia a immaginare un futuro nel teatro, nel rap, nella musica.
Ormai hanno introiettato la regola aurea del nostro teatro: o arriviamo tutti o non arriva nessuno, questo coro multiforme mi commuove per come accoglie i nuovi arrivati.
Ieri sera al Cisim, abbiamo fatto una foto di gruppo delle guide del Grande Teatro di Lido Adriano. Siamo teatranti, musicisti, pittori, fotografi, organizzatori, cantanti, rapper. Eravamo in tanti, ma non c’eravamo tutti. Sembra impossibile, ma neanche quest’anno riusciremo a essere tutti presenti in unica foto.
Nicola Baldazzi, fotografo del Grande Teatro di Lido Adriano, è quasi sempre presente. Dai primi incontri fino all’ultima replica. Ho pensato che sia lui a boicottare lo scatto.
Non vuole fissare qualcosa che si muove, preferisce fotografarci di frammento in frammento.
Il Grande Teatro di Lido Adriano si muove come una colonna di carri di zingari in viaggio, i confronti e le suggestioni, la creazione dello spettacolo, tutto nasce in un apparente e continua confusione tra le guide dei numerosi laboratori, nei rari i momenti che in cui riusciamo a essere tutti presenti, ma continuamente, un tourbillon di scambi, di visioni, di frammenti come tessere di un mosaico, finirà per comporre l’opera.
La prima suggestione musicale ci è arrivata dalle musiche del Rajasthan, terra d’origine del popolo rom. Anche la nostra favola arriva dall’India. La musica sta al centro del nostro teatro popolare, che vive anche dei dipinti e dalle visioni immaginifiche create nella strada che collega il mare al Cisim come l’opera di Nicola Montalbini sarà anche quest’anno il fondale su cui si staglieranno i cento e più attori, cantanti, musicisti del Grande Teatro di Lido Adriano.
E’ un teatro rap, dietro al quale emergono il monodiare dei griot e il recitare salmodiante della cultura islamica. Tutto questo a Lido Adriano, dove i condomini ospitano persone che vengono da lontano, con i loro canti, quelli che i figli forse non conoscono più, con le loro favole, dimenticate e poi forse ricordate.
Molti anni fa assieme a Laura Gambi, mia compagna d’arte e di vita, demmo vita a un progetto multidisciplinare che prendeva il titolo da un famoso testo di Bruce Chatwin: Le vie dei Canti.
Nel libretto a corredo della rassegna riportavamo un frammento di una poesia di Charles Baudelaire: Zingari in viaggio, dalla raccolta “I fiori del male”.
La tribù profetica dalle pupille ardenti,
ieri s’è messa in cammino caricandosi i piccoli
sulle spalle e offrendo ai loro fieri appetiti
il tesoro sempre pronto delle mammelle pendenti.
Luigi Dadina