In risposta alla lettera di Luigi Dadina in ARTERIO’S CORNER di Luigi Dadina – Lettera a Tahar Lamri
Ravenna, 23 gennaio 2017
Caro fratello Luigi,
non capisco come mai la tua lettera del 25 ottobre 2016 mi giunge così in ritardo. Credevo che in tempi di email, Facebook, Whatsapp, chat, tag e altre diavolerie del genere, il tempo di attesa delle corrispondenze fosse stato cancellato. Invece mi accorgo che non è così. O è il tempo che invecchia così in fretta in queste contrade oppure c’è qualcuno che intralcia il corso della tecnologia. Non lo so. Mi hanno parlato di un tale che si fa chiamare Maxeramax che trattiene le lettere e le corrispondenze a livello dei Fiumi Uniti, ma credo sia soltanto una bufala (come si dice) messa in circolazione da qualche suo rivale: sospetto uno con un tatuaggio sul braccio, “Modena” mi pare scritto in quel tatuaggio. Cosa avrà Modena di più di Ravenna, non lo so!
Non mi chiedi come sto, ma ti rispondo lo stesso: sto bene e spero che la mia missiva ti trovi in buona e perfetta salute. Sono stato molto impegnato negli ultimi tempi in un lavoro, “Maryam” che mi ha rinnovato la meraviglia e lo stupore. Sono anche stato a casa di Francesco, hai presente Francesco? E ho cantato una canzone de Il Volo – La ballata dei picchettini. Bella esperienza in un giorno di grande vento, là a Lido di Savio.
Mosul, mi dici, l’antica Ninive. Quando sento la parola Mosul mi viene sempre in mente una cosa che ho letto tanto tempo fa e che dice che il cognome romagnolo Mussolini, viene da Mosul. A quanto pare, gli antenati di Mussolini erano commercianti di mussola, tessuto molto leggero che veniva fabbricato nella città di Mosul, come testimonia Marco Polo ne Il Milione.
“Mosul è uno grande reame, ove è molte generazioni di genti, le quali vi conterò incontenente. E v’à una gente che si chiamano arabi, ch’adorano Malcometto; un’altra gente v’à che tengono la legge cristiana, ma no come comanda la chiesa di Roma, ma fallano in piú cose. Egli sono chiamati nestorini e iacopi, egli ànno uno patriarca che si chiama Iacolic, e questo patriarca fa vescovi e arcivescovi e abati; e fagli per tutta India e per Baudac e per Acata, come fa lo papa di Roma; e tutti questi cristiani sono nestorini e iacopit.
E tutti li panni di seta e d’oro che si chiamano mosolin si fanno quivi, e li grandi mercatanti che si chiamano mosolin sono di quello reame di sopra. E ne le montagne di questo regno sono genti che si chiamano † di cristiani nestorini e iacopit; l’altre parti sono saracini ch’adorano Malcometto, e sono mala gente, e rubano volontieri li mercatanti.” (Il Milione) )
“saracini ch’adorano Malcometto, e sono mala gente” a leggere queste parole si direbbe che nulla è cambiato dal lontano milleduecento e rotti. Forse Marco Polo non è mai stato a Mosul né ha mai incontrato un saraceno: stava lì in prigione a scrivere il suo libro e a mettere “Mi piace” o a taggare altri o a postare commenti sul Facebook dell’epoca. L’unica cosa che ricordo io è che quando arrivai in Italia avevo delle banconote da mille lire con il volto di Marco Polo. Barba folta, labbra sottili e sguardo molto dolce.
Caro fratello,
io invece la guerra un po’ me la ricordo. La nostra guerra di liberazione dal colonialismo francese. Mi ricordo il filo spinato e i soldati. Mi ricordo quando i soldati francesi vennero a casa a prendere mio padre. Mia madre si è sempre stupita quando le raccontavo di questo ricordo e mi diceva “Ma come fai a ricordatelo? Eri così piccolo!” Non mi ricordo invece una storia che era solita raccontare lei, sempre con le stesse parole: “Eri legato sulla mia schiena (al modo degli africani), avevi un anno e mezzo – due, quando scoppiò un’autobomba e lo sportello dell’auto passò a pochi centimetri dalla tua testa.” Mi sono sempre chiesto perché a pochi centimetri dalla “mia” testa visto che mi portava sulla “sua” schiena e quindi lo sportello è sicuramente passato a pochi centri dalla “sua” testa, o forse dalle “nostre” teste. Però non le dissi mai nulla del genere. I ricordi non vanno contraddetti vanno soltanto ascoltati.
E, a proposito di guerra, in un documentario di tanti anni fa, Sergio Zavoli intervista alcuni partigiani delle valli di Ravenna e racconta la storia di un partigiano, un tale di nome Ateo che salvò la basilica di Classe dal bombardamento. Ateo dice che gli alleati volevano bombardare la basilica perché c’erano dei cecchini sul campanile, ma siccome lui era oltre che partigiano un muratore, la cooperativa muratori l’aveva inviato assieme ad altri qualche giorno prima a montare un impalcatura dentro la basilica per salvare i mosaici. Disse Ateo: “L’impalcatura era grande e quindi certamente si trattava di una cosa importante che non poteva essere bombardata”. Non sapeva nulla di mosaici né di basiliche. Allora Ateo disse “Mi sono proposto con alcuni altri compagni di andare a prendere i cecchini e salvare quel posto e così fu: la sera siamo saliti sul campanile e abbiamo catturato quei due cecchini”. Zavoli gli disse: “Ma si rende conto lei che di nome fa Ateo, ha salvato la casa del Signore” e Ateo, molto imbarazzato ma senza rammarico: “Non lo so!”.
Puoi guardarlo qui:
Un altro al quale Zavoli chiese: “Come mai ha rifiutato la medaglia d’argento” risponde: “E come potevo accettare una medaglia d’argento o anche di ferro? Noi eravamo tutti uguali. Perché me? Quella medaglia sarebbe stata una differenza, avrebbe messo me al di sopra degli altri. Io non voglio medaglie né d’argento né di ferro”. Perché come racconta un altro: “Tutti hanno partecipato alla liberazione di questa terra. Le donne stendevano più panni quando c’erano in giro più nazisti. Eravamo sempre informati sul numero dei tedeschi tramite la biancheria stesa sui fili ”.
Così è la guerra caro fratello Luigi. O anche così. Quei partigiani ai quali era stata imposta la guerra, quando dovevano smobilitare, avevano le lacrime agli occhi.
Nel maggio 2016, il presidente americano Barack Obama andò in Vietnam e si fece fotografare con il presidente vietnamita, alle loro spalle la statua di Ho Chi Minh che aveva combattuto gli americani, quando a te e a me piaceva guardare quella guerra dei deboli che vincono contro i forti.
Con quella foto il presidente americano e quello vietnamita hanno detto al mondo: “Quella guerra è alle nostre spalle”. Una guerra costata all’umanità un milione di civili e settecentomila combattenti vietnamiti e circa sessantamila soldati americani. Ma ora i vecchi nemici hanno un nemico comune: la Cina.
Ma sono sicuro che il pragmatico Ho Chi Minh non sarebbe scontento di questa nuova alleanza con un vecchio nemico, lui, Ho Chi Minh, che fondò nel 1941 la Lega per l’Indipendenza del Vietnam (Viet Minh) che ha accolto assieme a comunisti, nazionalisti e monaci buddisti con i quali ha liberato il paese dai giapponesi e ha sconfitto i francesi a Dien Bien Phu nel 1954. E così pure nel 1960 quando fondò le Forze armate popolari di liberazione del Vietnam del Sud (Viet Cong) assieme ai cattolici. I suoi eredi, nel 1979, una volta liberato e riunito il Vietnam, invasero la Cambogia e il Laos. Non erano più deboli ma forti. I deboli erano i cambogiani e i laotiani. E Così scoppia la guerra fra Cina e Vietnam nel 1979.
A noi però ci rimangono i ricordi. Ricordi inalterati e inalterabili. Quella fuga in elicottero dal tetto dell’ambasciata americana.
Forse mi sono lasciato andare troppo e spero di non averti annoiato troppo.
Rimango in attesa di tue notizie.
Un abbraccio forte forte